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Prova della data di realizzazione di un immobile: l’eccezione alla regola generale

Nella sentenza del 18 maggio 2022, n. 395, del TAR Liguria, sez. I, nell’ambito di un contezioso circa la prova dell’esistenza risalente di una tettoia chiusa, sono stati definiti i documenti che il privato deve allegare all’istanza di sanatoria

25 MAGGIO 2022

È noto che, secondo la regola generale, ricade sul privato l’onere di provare la data di realizzazione di un immobile: solo l’interessato, infatti, in omaggio al principio di vicinanza degli strumenti di prova (art. 2697 cod. civ.)[1], può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto[2].
 
L’eccezione
Tuttavia, è altrettanto nota[3] l’eccezione a tale regola, frutto del criterio di ragionevolezza, e che si concretizza quando:
 
da un lato, il privato porti a sostegno della propria tesi sulla datazione dell’intervento elementi dotati di plausibilità (quali, ad esempio, aerofotogrammetrie, dichiarazioni sostitutive di edificazione o altre certificazioni attestanti fatti o circostanze rilevanti);
e, dall’altro lato, l’ufficio tecnico comunale fornisca elementi incerti in ordine alla medesima vicenda.
In sostanza, la deduzione della parte privata di concreti elementi di fatto relativi all’epoca dell’abuso non efficacemente contrastati dall’ufficio tecnico comunale trasferisce l’onere della prova contraria in capo a quest’ultimo[4].
 
Un recente caso concreto
Nella sent. 18 maggio 2022, n. 395, del TAR Liguria, sez. I, nell’ambito di un contezioso circa la prova dell’esistenza risalente di una tettoia chiusa, il privato aveva allegato all’istanza di sanatoria i seguenti documenti:
 
l’estratto di una cartografia dell’Istituto Geografico Militare degli anni ’80, in cui risulta chiaramente riprodotto il manufatto in contestazione, a fianco del fabbricato principale;
tre aerofotogrammetrie della Regione Liguria, una del 1974 e le altre due del 1993, molto simili tra loro, da nessuna delle quali si può inferire con immediatezza la presenza del locale, in quanto la zona dove è ubicato appare in colore chiaro.
Secondo i giudici, dinanzi a tali evidenze, appariva non improbabile che la struttura esistesse già nel 1974, dal momento che la fotografia risalente a quel periodo non è dissimile da quelle del 1993, data in cui il deposito era sicuramente costruito. Conseguentemente, l’ufficio tecnico comunale avrebbe dovuto consentire al privato di produrre dichiarazioni di soggetti terzi che, nel periodo di interesse, risiedevano nelle vicinanze dei luoghi di causa o vi si recavano e, pertanto, in grado di riferire in merito alla consistenza dell’entità edilizia agli inizi degli anni ’80.
 
Un ulteriore esempio precedente
In un altro caso concreto, affrontato dal TAR Lazio, Latina, nella sent. 8 giugno 2020 n. 194, l’interessato, a sostegno della propria tesi secondo cui l’edificio oggetto della controversia era stato realizzato prima del 1° settembre 1967 (data di introduzione dell’obbligo generalizzato della concessione edilizia), aveva presentato in giudizio:
 
progetti riguardanti gli edifici insistenti sul terreno di sua proprietà, due dei quali non citati dall’amministrazione civica nel provvedimento di demolizione;
dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà che fissavano al giugno 1966 la data di ultimazione dei manufatti de quibus e che fornivano anche elementi in ordine ai materiali all’epoca utilizzati per realizzarli ed all’uso cui erano stati adibiti;
una comunicazione di inizio lavori;
una consulenza tecnica di parte redatta da un professionista abilitato, la quale concludeva nel senso che l’edificio, pur mostrando segni di ristrutturazione successivi all’impianto originario, evidenziava un periodo di realizzazione compatibile con l’epoca antecedente al 1° settembre 1967.
Secondo i giudici, tali elementi provavano un’obiettiva situazione di incertezza in merito all’epoca di costruzione dei manufatti contestati, in presenza della quale l’Amministrazione, prima di ingiungere il ripristino dello stato dei luoghi, avrebbe dovuto espletare più puntuali ed approfonditi accertamenti, in assenza dei quali si profilano un difetto di istruttoria e un vizio motivazione[5]; infatti, il mancato riferimento alla data di realizzazione degli abusi rifluisce nell’omissione di un “dato che incide in modo rilevante sotto il profilo della normativa applicabile e, quindi, della categoria edilizia nell’ambito della quale devono essere sussunte le opere contestate. Si consideri, al riguardo, che, fermo restando il principio, […] secondo il quale l’onere di provare l’effettiva data di realizzazione delle opere normalmente incombe sul privato che intende applicare la normativa vigente nel tempo a sé più favorevole, occorre considerare che il Comune deve chiarire, nel provvedimento con il quale qualifica l’abuso, la data degli interventi contestati, oppure, anche sotto il profilo temporale, la specifica normativa che intende applicare”[6].