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Due fondi distanti 260 metri non possono considerarsi contigui ai fini della cessione di cubatura

Con la recente sentenza 27 giugno 2022, n. 5305, il Consiglio di Stato, sez. II, ha confermato quanto espresso dal TAR Lazio, Roma, sez. II quater, nella sent. 14 dicembre 2021, n. 12928: due fondi distanti fra loro 260 metri non possono considerarsi contigui ai fini della cessione di cubatura
 
 

4 LUGLIO 2022

di Mario Petrulli
 
Con la recente sentenza 27 giugno 2022, n. 5305, il Consiglio di Stato, sez. II, ha confermato quanto espresso dal TAR Lazio, Roma, sez. II quater, nella sent. 14 dicembre 2021, n. 12928: due fondi distanti fra loro 260 metri non possono considerarsi contigui ai fini della cessione di cubatura.
 
L’occasione ci consente di ricordare alcuni principi ormai consolidati in merito a detto istituto.
 
Come è noto[1], nella cessione di cubatura vi sono alcuni requisiti che i fondi devono rispettare necessariamente e contemporaneamente:
 
appartenenza alla medesima zona o sottozona omogenea del piano regolatore generale;
contiguità fra fondo cedente e fondo ricevente;
identità delle opere di urbanizzazione, realizzate per l’intera zona, poste al servizio del fondo cedente e del fondo beneficiario della cubatura;
non alterazione del carico urbanistico della zona e immutata densità territoriale complessiva, a seguito della ridistribuzione della volumetria tra i due fondi.
Per quanto riguarda, in particolare, il secondo requisito, oltre all’ipotesi in cui i fondi condividano almeno un lato di confine, la giurisprudenza ammette che i fondi siano fra loro sufficientemente vicini, tali da poterli considerare appartenenti entrambi ad un contesto unitario d’intervento.
 
Invero, come ribadito anche di recente dalla Corte di legittimità[2], la cessione di cubatura è un istituto di fonte negoziale, la cui legittimità è stata ripetutamente avallata in sede giurisprudenziale[3], in forza del quale è consentita, a prescindere dalla comune titolarità dei due terreni, la “cessione” della cubatura edificabile propria di un fondo in favore di altro fondo, cosicché, invariata la cubatura complessiva risultante, il fondo cessionario sarà caratterizzato da un indice di edificabilità superiore a quello originariamente goduto. Tuttavia, onde evitare la facile elusione dei vincoli posti alla realizzazione di manufatti edili in funzione della corretta gestione del territorio, il legittimo ricorso a tale meccanismo è soggetto a determinate condizioni, una delle quali – rilevante proprio nella vicenda esaminata – è costituita dall’essere i terreni in questione, se non precisamente contermini, quanto meno dotati del requisito della reciproca prossimità, perché altrimenti, attraverso l’utilizzazione di tale strumento, astrattamente legittimo, sarebbe possibile realizzare scopi del tutto estranei ed, anzi, contrastanti con le esigenze di corretta pianificazione del territorio.
 
È inevitabile, nel caso in cui i fondi non condividano almeno un lato di confine, che vi possa essere un grado di opinabilità nel verificare l’effettiva vicinanza: di conseguenza, è necessario individuare un criterio che possa aiutare il tecnico che si trova ad istruire una pratica di permesso di costruire con cessione di cubatura. Ed è qui che la giurisprudenza arriva in soccorso, affermando che, in effetti, il criterio della “effettiva e significativa vicinanza” rappresenta una nozione definita solo in negativo, nel senso che non può essere esclusa solo per il fatto che le particelle asservite non siano fisicamente adiacenti all’area di intervento, cioè non è necessaria la “continuità fisica”, essendo sufficiente che siano contigue. Si tratta, perciò, di un concetto flessibile, la cui concretizzazione va operata caso per caso, “dipendendo strettamente dalle dimensioni del territorio comunale, delle singoli circoscrizioni o quartieri nonché dalla distanza esistente tra le opere di urbanizzazione previste dallo strumento urbanistico (…). Ciò significa che in concreto non è possibile adottare un criterio generale ed astratto in base al quale affermare la contiguità tra fondi, ma che la vicinanza deve essere valutata caso per caso in relazione alle caratteristiche morfologiche dell’area interessata, alle sue dimensioni e tenuto conto delle esigenze urbanistiche della stessa”[4].
 
La giurisprudenza, pertanto, ha proceduto secondo casistica, ravvisando una “effettiva e significativa vicinanza” tra fondi siti a distanza di 35 metri[5], di 21-40 metri[6] e di 25-30 metri[7] l’uno dall’altro; al contrario, è stata esclusa, con conseguente inoperatività dell’atto di asservimento, nel caso di fondi distanti tra loro 140 metri[8] (essendo interposti fra loro altri quattro lotti), 154 metri[9], 300 metri[10], “qualche chilometro”[11], oltre 8 km[12].
 
La decisione
Nel caso specifico oggetto di valutazione da parte dei giudici di Palazzo Spada sono stati considerati rilevanti tre aspetti:
 
i fondi in questione erano distanti di 260 metri l’uno dall’altro, “sicchè per nulla evidente è la loro contiguità in rapporto all’estensione complessiva del Comune (quasi 26 kmq) ed alla lunghezza dell’area urbanizzata, (di circa 2,8 km)”;
sussistevano comunque strutture capaci di rompere l’ideale “unità” dell’area di insistenza dei fondi, in quanto gli stessi erano separati da alcune strade e da abitazioni, che operavano un effetto “barriera” e interrompevano la continuità spaziale;
la notevole distanza tra il fondo cedente e quello ricevente costituiva “un elemento di discontinuità tale da impedirne l’accorpamento al fine dello sfruttamento edificatorio di proprietà in quanto non è ravvisabile il presupposto dell’appartenenza ad un medesimo contesto unitario”.
Vale, quindi, il principio già espresso dalla giurisprudenza, secondo cui, data la natura derogatoria del criterio in parola, va riconosciuta “l’esigenza che l’Amministrazione valuti il progetto alla luce delle conseguenze complessive che può determinare e non solo tenendo conto dell’effetto immediato del trasferimento: è legittimo in definitiva che l’Amministrazione consideri un trasferimento di volumetria per il contesto in cui si inserisce e tenendo conto del principio di imparzialità proprio dell’attività amministrativa che impone all’Amministrazione di prendere in esame la possibilità che altri soggetti intendano avvalersi della stessa opportunità. Il carattere derogatorio del criterio in questione obbliga infatti l’Amministrazione ad esercitare in modo rigoroso il governo del territorio a tutela dell’interesse pubblico in presenza di equilibri urbanistici complessi, specie in aree densamente popolate”[13].
 
Ulteriore elemento di attenzione è la presenza di una strada fra i fondi coinvolti nell’operazione di asservimento: in passato è stato ritenuta irrilevante la presenza di una strada o di un fosso di scolo delle acque[14]; più recentemente[15] si è precisato che la presenza di una strada, che determina l’interruzione della “continuità” fisica del lotto, può essere diversamente considerata, come elemento ostativo alla ricostruzione del contesto unitario, nel caso di viabilità principale di PRG, oppure come un mezzo di collegamento, che consente di mettere in comunicazione le particelle, seppur non confinanti, permettendo di ritenerle “contigue”, come nel caso di strade private di quartiere.
 
Infine, ricordiamo che i due fondi non possono insistere su Comuni diversi[16].