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Quando è possibile la fiscalizzazione dell’abuso edilizio

L’art. 34, comma 2, del Testo Unico Edilizia consente la fiscalizzazione dell’abuso mediante il pagamento di una sanzione pecuniaria quando vi sia difformità parziale rispetto al titolo edilizio e sussista il rischio che la demolizione della parte difforme possa arrecare pregiudizio alla parte conforme
 
 

30 SETTEMBRE 2022

La norma
L’art. 34, comma 2, del Testo Unico Edilizia[1] consente la fiscalizzazione dell’abuso mediante il pagamento di una sanzione pecuniaria quando vi sia difformità parziale rispetto al titolo edilizio e sussista il rischio che la demolizione della parte difforme possa arrecare pregiudizio alla parte conforme. Dall’esegesi della norma è possibile individuare una serie di presupposti concomitanti per la corretta operatività dell’istituto, come evidenziato dal TAR Lombardia, Brescia, sez. II, nella sent. 21 settembre 2022, n. 863.
 
Il primo presupposto: il superamento dei margini di tolleranza costruttiva e dei limiti delle variazioni essenziali
In rimo luogo, deve essere stati superati sia i margini di tolleranza costruttiva del 2% ex art. 34-bis[2] del Testo Unico sia i limiti delle variazioni essenziali ex art. 32[3] del Testo Unico. Nel caso delle variazioni non essenziali, infatti, la conformità urbanistica è normalmente implicita ed è quindi applicabile la regolarizzazione ex art. 36, comma 2[4], del Testo Unico per le nuove edificazioni o la ristrutturazione pesante, oppure la regolarizzazione ex art. 37, comma 4[5], del Testo Unico per gli interventi edilizi autorizzabili mediante SCIA.
 
Il secondo presupposto: l’unitarietà dell’intervento
In secondo luogo, l’intervento di costruzione deve essere stato unitario e deve aver determinato la confusione delle varie parti di quanto edificato, conformi e difformi, in un’unica costruzione. È, dunque, necessario che vi sia stata contestualità tra i lavori conformi e quelli difformi, o quantomeno che l’aggiunta di parti difformi sia rimasta all’interno del medesimo disegno edificatorio, analogamente a quanto avviene con le varianti in corso d’opera. Se manca, invece, qualsiasi collegamento con i tempi di ultimazione dell’originaria parte conforme, l’aggiunta è semplicemente una nuova costruzione abusiva, anche se si inserisce in modo coerente nell’edificio divenendo una porzione non autonoma dello stesso sotto il profilo funzionale.
 
Detto presupposto, nel caso concreto oggetto della sentenza in commento, non è stato ritenuto sussistente dai giudici: infatti, “non vi è stata contestualità nella realizzazione delle parti conformi e di quelle difformi”, visto che era “trascorso oltre un decennio tra l’ultimazione dell’edificio nel rispetto dell’originario titolo edilizio e la trasformazione abusiva della terrazza in locale aggiuntivo”. Tale assenza, da sola, è già sufficiente ad escludere la possibilità della fiscalizzazione dell’abuso.
 
Il terzo presupposto: il rischio di pregiudizi per la parte eseguita in conformità
In terzo luogo, deve esserci il rischio di pregiudizi per la parte eseguita in conformità. Possono essere prese in considerazione, evidentemente, solo le ipotesi di cedimento riferite alla statica dell’intero edificio, ossia quelle implicanti il rischio di rovina del fabbricato nel suo complesso, non essendo rilevanti sotto il profilo urbanistico le semplici limitazioni funzionali che l’edificio potrebbe subire a causa della perdita della volumetria abusiva. Parimenti, non rilevano i danni riparabili e, dunque, temporanei, che l’intervento di demolizione potrebbe arrecare alla parte eseguita in conformità. L’onere della prova del livello di rischio è a carico dei proprietari (onere non assolto nel caso della sentenza in commento).
 
Note
 
[1] DPR n. 380/2001.
 
[2] Art. 34-bis – Tolleranze costruttive
 
Il mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità immobiliari non costituisce violazione edilizia se contenuto entro il limite del 2 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo.
Fuori dai casi di cui al comma 1, limitatamente agli immobili non sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, costituiscono inoltre tolleranze esecutive le irregolarità geometriche e le modifiche alle finiture degli edifici di minima entità, nonché la diversa collocazione di impianti e opere interne, eseguite durante i lavori per l’attuazione di titoli abilitativi edilizi, a condizione che non comportino violazione della disciplina urbanistica ed edilizia e non pregiudichino l’agibilità dell’immobile.
Le tolleranze esecutive di cui ai commi 1 e 2 realizzate nel corso di precedenti interventi edilizi, non costituendo violazioni edilizie, sono dichiarate dal tecnico abilitato, ai fini dell’attestazione dello stato legittimo degli immobili, nella modulistica relativa a nuove istanze, comunicazioni e segnalazioni edilizie ovvero, con apposita dichiarazione asseverata allegata agli atti aventi per oggetto trasferimento o costituzione, ovvero scioglimento della comunione, di diritti reali.
[3] Art. 32 – Determinazione delle variazioni essenziali
 
Fermo restando quanto disposto dal comma 1 dell’articolo 31, le regioni stabiliscono quali siano le variazioni essenziali al progetto approvato, tenuto conto che l’essenzialità ricorre esclusivamente quando si verifica una o più delle seguenti condizioni:
a) mutamento della destinazione d’uso che implichi variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968;
 
b) aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato;
 
c) modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza;
 
d) mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio assentito;
 
e) violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica, quando non attenga a fatti procedurali.
 
Non possono ritenersi comunque variazioni essenziali quelle che incidono sulla entità delle cubature accessorie, sui volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle singole unità abitative.
 
Gli interventi di cui al comma 1, effettuati su immobili sottoposti a vincolo storico, artistico, architettonico, archeologico, paesistico, ambientale e idrogeologico, nonché su immobili ricadenti sui parchi o in aree protette nazionali e regionali, sono considerati in totale difformità dal permesso, ai sensi e per gli effetti degli articoli 31 e 44. Tutti gli altri interventi sui medesimi immobili sono considerati variazioni essenziali.
 
[4] Art. 36 (L) – Accertamento di conformità
 
Il rilascio del permesso in sanatoria è subordinato al pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia, ovvero, in caso di gratuità a norma di legge, in misura pari a quella prevista dall’articolo 16. Nell’ipotesi di intervento realizzato in parziale difformità, l’oblazione è calcolata con riferimento alla parte di opera difforme dal permesso.
 
[5] 4. Ove l’intervento realizzato risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell’intervento, sia al momento della presentazione della domanda, il responsabile dell’abuso o il proprietario dell’immobile possono ottenere la sanatoria dell’intervento versando la somma, non superiore a 5.164 euro e non inferiore a 516 euro, stabilita dal responsabile del procedimento in relazione all’aumento di valore dell’immobile valutato dall’agenzia del territorio.