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Destinazione d’uso e Mutamento di destinazione d’uso. Natura urbanistica e natura edilizia

L’istituto della destinazione d’uso presenta due distinti profili: uno di natura urbanistica e un altro di natura edilizia. Il mutamento di destinazione d’uso si distingue tra “urbanisticamente rilevante” e “urbanisticamente irrilevante”.
 

2 DICEMBRE 2022

di Valeria Tarroni

L’istituto della destinazione d’uso presenta due distinti profili: uno di natura urbanistica e un altro di natura edilizia. Il mutamento di destinazione d’uso si distingue tra “urbanisticamente rilevante” e “urbanisticamente irrilevante”.

La distinzione tra i predetti concetti sono ribaditi dal Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 7/10/2022 n. 8613.

Destinazione d’uso

L’organizzazione e la gestione del territorio comunale richiedono il coordinamento delle varie possibili destinazioni d’uso e la loro (diversa) incidenza sull’organizzazione dei servizi, delle infrastrutture, delle dotazioni. Il cambio di destinazione d’uso ha ricadute sull’organizzazione del territorio.

Lo strumento urbanistico è l’atto di destinazione generica e trova attuazione nelle prescrizioni imposte dal titolo edilizio che abilita a costruire e vincola il titolare ed i suoi aventi causa.

Possono conseguentemente distinguersi, affermano i giudici di Palazzo Spada a) una destinazione d’uso urbanistica; b) una destinazione d’uso edilizia.

La destinazione d'uso di natura urbanistica è riferita alla puntuale zonizzazione funzionale del territorio con i relativi standard urbanistici (a norma di legge e del D.M. 1444/1968). La destinazione di zona incide in maniera determinante sul calcolo degli oneri di urbanizzazione primari e secondari stabiliti dal Consiglio Comunale in base alle tabelle parametriche della Regione (art. 16, comma 4, del dpr 380/2001) e funge da parametro per la valutazione del carico urbanistico connesso ad un determinato intervento (secondo il regolamento edilizio tipo per carico urbanistico si intende il fabbisogno di dotazioni territoriali di un determinato immobile o insediamento, in relazione alla sua entità e destinazione d’uso).

La destinazione d’uso di natura edilizia attiene invece al singolo edificio e alle sue capacità funzionali. Tradizionalmente si usa distinguere tra mutamenti di destinazione d’uso all’interno della stessa categoria funzionale di riferimento e mutamenti di destinazione d’uso che segnano il passaggio da una categoria ad un’altra. Ed ancora tra mutamenti d’uso con opere  (mutamento strutturale) e mutamenti d’uso senza opere (mutamento funzionale).

Mutamento di destinazione d’uso dell’immobile

Con l’articolo 23-ter del Testo Unico per l’edilizia dpr 380/2001[1] (aggiunto dal D.L. n. 133/2014 c.d. “sblocca Italia” convertito con modificazioni dalla L. 164/2014) è stata  introdotta la distinzione tra mutamento di destinazione d’uso “urbanisticamente rilevante” e mutamento di destinazione d’uso “urbanisticamente irrilevante”. La norma indica cinque categorie d’uso urbanisticamente funzionali, distinte ed autonome: a) residenziale, a-bis) turistico-ricettiva, b) produttiva e direzionale, c) commerciale, d) rurale. Per ogni categoria funzionale [2]è stabilito l’insieme di usi dei fabbricati aventi il medesimo peso insediativo e carico urbanistico e che pertanto incidono in pari misura sulle dotazione dei servizi territoriali necessari ai loro insediamenti.

Il cambio d’uso all’interno della stessa categoria  (anche a prescindere dalla realizzazione di opere) è sempre ammesso in quanto urbanistiamente irrilevante[3]. Il cambio d’uso, anche se in assenza opere, qualora comporti il passaggio tra le diverse categorie funzionali, è invece urbanisticamente rilevante con la conseguenza che è riconducibile alla tipologia di intervento “nuova costruzione” come definita dall’art. 3, comma 1, lett. d) del dpr 380/2001 e va assoggettato a permesso di costruire ed al contributo di costruzione. Le conseguenze sanzionatorie sono il ripristino.

Mutamento di destinazione d’uso illegittimo

La destinazione d'uso legittima di un immobile o di una unità immobiliare è quella del titolo edilizio rilasciato per la sua realizzazione o quella dell’ultimo titolo edilizio che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio integrato da eventuali titoli successivi per interventi parziali (art. 9-bis del dpr 380/2001).

Il cambio d’uso, ossia l’utilizzazione di un immobile o di una unità immobiliare diversa da quella stabilità dal titolo edilizio, qualora comporti il passaggio ad una diversa categoria funzionale, anche senza opere, implica variazione degli standard di cu al DM 1444/1968 ed è qualificata dalla legge “variazione essenziale” al titolo edilizio (art. 32, comma 1, lett. a) del d.p.r. 380 del 2001), con conseguenze sanzionatorie che ne prevedono il ripristino[4].

Nella sentenza proposta (n. 8613/2022) il Consiglio di Stato afferma che sul punto la giurisprudenza si è più volte pronunciata ed è addivenuta all’orientamento univoco che il mutamento d’uso tra categorie funzionali ontologicamente diverse, se realizzato senza permesso di costruire, anche in assenza di opere, è sanzionabile con il ripristino in quanto integra una vera e propria modificazione edilizia che incide sul carico urbanistico.
Il testo della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 7/10/2022 n. 8613 è consultabile in https://www.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza?nodeRef=&schema=cds&nrg=202105695&nomeFile=202208613_11.html&subDir=Provvedimenti

Note

[1] Art. 23-ter. Mutamento d'uso urbanisticamente rilevante

  1. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d'uso ogni forma di utilizzo dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate:
  2. a) residenziale;

a-bis) turistico-ricettiva;

b) produttiva e direzionale;

c) commerciale;

d) rurale.

La destinazione d’uso dell’immobile o dell’unità immobiliare è quella stabilita dalla documentazione di cui all’articolo 9-bis, comma 1-bis.

Le regioni adeguano la propria legislazione ai principi di cui al presente articolo entro novanta giorni dalla data della sua entrata in vigore. Decorso tale termine, trovano applicazione diretta le disposizioni del presente articolo. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali, il mutamento della destinazione d'uso all'interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito.

[2] La pianificazione comunale articola poi le destinazione d’uso per assimilazione e fornisce l’elenco di quelle principali aventi il medesimo carico urbanistico (a titolo esemplificativo: a) l’uso residenziale può essere articolato tra abitazioni singole, permanenti e temporanee,  case appartamenti vacanza, bed and breakfast, affittacamere; a-bis) la destinazione turistico-ricettiva può comprendere, oltre agli alberghi, le pensioni e i camping, anche le strutture ricreative (cinema, sale convegni, centri benessere, palestre, discoteche, stabilimenti balneari); b) la destinazione produttiva-direzionale può comprendere industrie, laboratori per la produzione di beni, artigianato di servizio, attività direzionali, attività di servizio alle imprese ed alle persone, scuole e centri di formazione); c) la destinazione commerciale può comprendere, oltre alle strutture di vendita (negozi e supermercati), i pubblici esercizi (bar, ristoranti), l’artigianato di servizio non integrabile con la residenza (carrozzerie, lavanderie industriali), i depositi (di merci e di mezzi); d) la destinazione rurale comprende le funzioni connesse e complementari al settore agricolo).

[3] Le eventuali opere per cambio d’uso all’interno della stessa categoria funzionale sono  soggette a CILA o a SCIA.

[4] Tar Lazio, Sez. II bis, sentenza n. 1166 del 28 gennaio 2021