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La limitata operatività dell’autorizzazione paesaggistica postuma

La previsione derogatoria, che consente l’autorizzazione postuma unicamente si riconosce per interventi che “non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”

 
 

17 FEBBRAIO 2023

di Mario Petrulli

L’art. 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (Decreto Legislativo n. 42/2004) prevede che “i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge, a termini dell’articolo 142, o in base alla legge, a termini degli articoli 136, 143, comma 1, lettera d), e 157 (…) hanno l’obbligo di presentare alle amministrazioni competenti il progetto degli interventi che intendano intraprendere, corredato della prescritta documentazione, ed astenersi dall’avviare i lavori fino a quando non ne abbiano ottenuta l’autorizzazione. La documentazione a corredo del progetto è preordinata alla verifica della compatibilità fra interesse paesaggistico tutelato ed intervento progettato (…) L’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio. Fuori dai casi di cui all’articolo 167, commi 4 e 5, l’autorizzazione non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi”; l’art. 167, commi 4 e 5, statuisce che “L’autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5, nei seguenti casi: a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati (…) Il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’area interessati dagli interventi di cui al comma 4 presenta apposita domanda all’autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell’accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi. L’autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni”.

Dal combinato disposto delle norme testé richiamate emergono, quindi:

  • la regola generale(art. 146), che vieta il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi di trasformazione delle aree sottoposte a vincolo paesaggistico;
  • la previsione derogatoria (art. 167, commi 4 e 5), che consente l’autorizzazione postuma unicamente, però, per interventi che “non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”: id est,per abusi di minima entità, tali da determinare già in astratto, per le loro stesse caratteristiche tipologiche, un rischio estremamente modesto di effettivi pregiudizi per il bene tutelato;
  • il carattere tassativo ed eccezionale delle fattispecie previste dall’art. 167, commi 4 e 5, al di fuori delle quali non può essere rilasciata alcuna sanatoria successiva alla realizzazione, anche parziale, delle opere abusive: da qui la necessità di una interpretazione di tali fattispecie che non vada “oltre i casi e i tempi in esse considerati”, in coerenza col canone interpretativo dettato dall’art. 14 disp. prel. cod. civ.;
  • la chiarezza, infine, della relativa scelta legislativa, volta a presidiare il regime delle opere incidenti su beni paesaggistici escludendo, di regola, che l’esame di compatibilità ambientale possa essere postergato all’esecuzione dell’intervento (sine titulo o in difformità dal titolo rilasciato).

Da quanto precede si desume che, al di fuori dai casi tassativamente previsti dall’art. 167, commi 4 e 5, del Codice, la Soprintendenza, al cospetto di un’istanza di sanatoria, non può che emanare un atto dal contenuto vincolato esprimendosi nel senso della reiezione dell’istanza. L’unica valutazione da compiere, in questa materia, è invero quella della riconducibilità o meno della singola fattispecie oggetto di accertamento di conformità postumo a una delle ipotesi legislative di cui alla previsione derogatoria dell’art. 167, commi 4 e 5. E ove tale valutazione dia esito negativo, non può esservi spazio per nessun ulteriore apprezzamento sulle caratteristiche concrete dell’opera realizzata senza autorizzazione, né sul suo impatto paesaggistico. Diversamente, infatti, si finirebbe per operare in sede ermeneutica una surrettizia disapplicazione dell’art. 167, commi 4 e 5, con un’arbitraria reintroduzione di elementi discrezionali nell’accertamento postumo di compatibilità paesaggistica[1].

La superficie

Per quanto concerne la nozione di superficie utile conseguente all’intervento (la cui presenza esclude la possibilità di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica postuma), secondo la giurisprudenza[2]:

  • in ambito paesaggistico la nozione di “superficie utile” di cui all’art. 167 deve essere intesa in senso ampio e finalistico, non limitata agli spazi chiusi o agli interventi capaci di provocare un aggravio del carico urbanistico; va, infatti, considerata anche l’idoneità della nuova superficie, qualunque sia la sua destinazione, a modificare stabilmente – proprio come nel caso di specie – la vincolata conformazione originaria del territorio; sicché di “superficie utile” deve parlarsi in presenza di qualsiasi opera edilizia calpestabile o che può essere sfruttata per qualunque uso, atteso che il concetto di “utilità” assume qui un significato differente rispetto alla disciplina edilizia[3];
  • nell’ambito della tutela del vincolo paesistico, il concetto di “volume tecnico” è privo di rilievo; il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio, preclude qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume: a tale stregua, comporta aumento di volume anche la realizzazione di un garage interrato, con accesso all’esterno tramite rampa in zona sottoposta a vincolo paesaggistico[4];
  • l’art. 167, comma 4, lett. a), nel far riferimento alla sanabilità postuma dei lavori “che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”, ha utilizzato emblematicamente la congiunzione disgiuntiva “o”; ne consegue che la formulazione “superfici utili o volumi” preclude la sanatoria postuma già per effetto della sola creazione di superfici utili – creazione nella specie incontroversa -, e perciò anche a prescindere da un concorrente incremento di volumetria;
  • gli interventi di scavo e di sbancamento per usi diversi da quelli agricoli, ove siano tali da comportare un’immutazione dello stato dei luoghi, devono essere assentiti con permesso di costruire, e, se eseguiti in zona sottoposta a vincolo paesistico, necessitano, altresì, dell’autorizzazione paesaggistica;
  • la necessità di una preventiva autorizzazione paesaggistica riguarda ogni attività comportante una modificazione dell’assetto territoriale, ivi compresa la conformazione dei luoghi, non essendo ravvisabili gli estremi dell’abuso minore nelle opere di sbancamento del terreno finalizzate ad usi diversi da quelli agricoli: ciò in quanto esse incidono sullo stesso tessuto urbanistico del territorio e ne alterano la morfologia.

Note

[1] Cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI, sent. n. 10231/2022; sent. n. 6813/2021, secondo cui “ove le opere risultino diverse da quelle sanabili indicate nell’art. 167 del Codice dei beni culturali, le competenti autorità sono vincolate a denegare l’accertamento di compatibilità paesaggistica”.

[2] Cfr., recentemente, TAR Molise, sez. I, sent. 6 febbraio 2023, n. 40.

[3] Cfr., ex multis, TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 3 marzo 2021, n. 549/2021; TAR Lombardia, Milano, sez. II, sen. 8 maggio 2019, n. 1033.

[4] Cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 6 agosto 2013, n. 4114; TAR Lombardia, Brescia, sez. I, sent. 18 gennaio 2021, n. 63; TAR Emilia-Romagna, Parma, sez. I, sent. 5 febbraio 2018, n. 36.