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Criteri per la fiscalizzazione degli abusi edilizi

Il Consiglio di Stato, (Sez. II), con la sentenza del 15 marzo 2024, n. 2507, fornisce chiarimenti sui criteri di calcolo della sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione “c.d. fiscalizzazione dell’abuso edilizio” ex art. 33, comma 2, del Dpr 380/2001 nella fattispecie di un intervento di ristrutturazione edilizia realizzato in mancanza di idoneo titolo abilitativo

22 MARZO 2024

Di Valeria Tarroni

(Consiglio di Stato, Sezione Seconda, sentenza 15 marzo 2024 n. conferma TAR Emilia-Romagna, Sezione Seconda n. 224/2023)

La Sezione Seconda del Consiglio di Stato, con la sentenza 15 marzo 2024 n. 2507, fornisce chiarimenti sui criteri di calcolo della sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione “c.d. fiscalizzazione dell’abuso edilizio” ex art. 33, comma 2, del dpr 380/2001 (Testo unico edilizia)[1] nella fattispecie di un intervento di ristrutturazione edilizia realizzato in mancanza di idoneo titolo abilitativo.

La predetta pronuncia, di interesse generale, segue di pochi giorni e richiama la sentenza 8 marzo 2024 n. 3 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che ha espresso chiarimenti interpretativi su due profili specifici inerenti l’irrogazione della sanzione pecuniaria nella medesima fattispecie della ristrutturazione edilizia abusiva,[2].

Il fatto

Nel 2020 un Comune assume l’ordinanza di ingiunzione di pagamento della sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione (di €. 499.925) con allegata relazione tecnica indicante i criteri di calcolo adottati in applicazione dell’art. 33, comma 2 del dpr 380/2001. L’intervento abusivo consiste nella ristrutturazione edilizia mediante integrale demolizione e ricostruzione di un edificio ad uso abitativo realizzato senza idoneo titolo edilizio, per il quale il P.R.G. ammetteva il solo restauro e risanamento conservativo.

L’ordinanza e le cartelle esattoriali per la riscossione della sanzione sono impugnate innanzi al TAR Emilia-Romagna che respinge il ricorso con sentenza n. 224/2023 poi appellata al Consiglio di Stato che con sentenza 2507/2024 respinge l’appello.

 

I motivi dell’appello

L’art. 33, comma 2 del dpr 380/2001 prevede una sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento del valore dell’immobile conseguente alla realizzazione delle opere, determinato con riferimento alla data di ultimazione dei lavori e al criterio del “costo di produzione” secondo i criteri stabiliti dalla L. 392/1978 sull’equo canone e con riferimento all’ultimo costo di produzione determinato con decreto ministeriale, aggiornato alla data di esecuzione dell’abuso, sulla base dell’indice ISTAT del costo di costruzione.

Gli appellanti contestavano l’applicazione del criterio convenzionale del “costo di produzione” non solo per determinare il valore dell’immobile conseguente alla ristrutturazione abusiva, ma anche per determinare il valore dell’immobile preesistente all’intervento abusivo, per il quale, a loro dire, il criterio avrebbe dovuto fare riferimento al costo documentato di acquisto e al valore venale.

Contestavano inoltre che per l’attualizzazione del costo di produzione dell’edificio il Comune avesse preso a  riferimento la data di ultimazione dei lavori autodichiarata nella SCIA in sanatoria (dichiarata inefficace per contrasto con il PRG), mentre i lavori erano stati ultimati in data antecedente.

I chiarimenti del Consiglio di Stato sui criteri per il calcolo della sanzione pecuniaria ex art. 33, comma 2 dpr 380/2001

La Sezione Seconda del Consiglio di Stato con la sentenza 2507/2024 chiarisce che sul piano letterale, l’unico criterio  menzionato dall’art. 33, comma 2 del dpr 380/2001 per determinare l’importo della sanzione è quello del costo di produzione: la disposizione non menziona criteri diversi, come il costo storico o il valore di mercato, né contempla differenti metodologie di calcolo del valore dell’immobile ante e post abuso.

Afferma inoltre che il criterio di commisurazione della sanzione amministrativa pecuniaria, quale elemento costitutivo del quantum della medesima, non sfugge al principio di legalità degli illeciti amministrativi sancito all’art. 11 della L. 689/1981, circostanza già di per sé ostativa all’introduzione, in via interpretativa, di criteri diversi e ulteriori rispetto a quello previsto dalla legge.

Il costo di produzione, nell’ambito della disciplina eccezionale e derogatoria della c.d. fiscalizzazione dell’abuso, assurge a criterio esclusivo di commisurazione della sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione, In assenza di diverse indicazioni normative, la differenza di valore (ante e post abuso) per calcolare la sanzione pecuniaria, non può che calcolarsi sulla base di grandezze omogenee.

Sul piano teleologico, afferma inoltre il Consiglio di Stato, “non è predicabile alcuna espropriazione larvata poiché l’unico bene oggetto del diritto dominicale è il fabbricato abusivo che viene eccezionalmente sottratto alla regola della demolizione e assoggettato alla sanzione pecuniaria alternativa (sulla natura eccezionale della sanzione in questione e sull’inconfigurabilità della violazione dell’art. 1 prot. add. CEDU in caso di immobili abusivi, cfr. Ad.Plen. 16/2023)”.

I criteri del costo storico e del valore di mercato, in ragione dell’estrema variabilità dei valori concreti di riferimento, non solo non consentono la certa predeterminazione della sanzione, in violazione del già richiamato principio di legalità, ma rischiano di privarla del tutto della sua afflittività nei casi in cui non sia ravvisabile un costo storico di acquisto (perché l’immobile è pervenuto all’attuale proprietario per donazione o successione) o nel caso di disallineamento tra il valore di mercato e quello reale. L’applicazione di tali criteri, in ultima analisi, può determinare in concreto differenziali negativi o irrisori, privando la sanzione della sua ragion d’essere e assicurando un ulteriore vantaggio ingiusto a chi ha commesso l’abuso edilizio, con frustrazione dell’esigenza di effettività della pretesa punitiva e della garanzia del giusto risarcimento alla comunità danneggiata dall’abuso

In definitiva e richiamando la recente sentenza n. 3/2024 dell’Adunanza Plenaria “la sanzione pecuniaria costituisce, nei tassativi casi consentiti, una misura alternativa alla materiale demolizione del manufatto e deve costituire una ‘risposta sanzionatoria’ omogenea ed effettiva, ciò che non vi sarebbe se si dovesse tenere conto del suo valore inferiore, commisurato al tempo della realizzazione dell’abuso” o, come nel caso di specie, se venisse decurtata una parte della sanzione in ragione dell’asserita afferenza ad una (inesistente) parte legittima.

Infine il Consiglio di Stato chiarisce che l’art. 33 comma 2 del dpr 380/2001 non contempla un rinvio integrale all’abrogata legge 392/1978; il rinvio è limitato ai soli criteri di determinazione del costo base di produzione e non può estendersi anche ai criteri di calcolo del costo base ai fini della determinazione dell’equo canone contemplati dall’art. 22 della legge citata.

E’ chiaro in tal senso sia il tenore letterale della norma e sia la ratio di equità sociale sottesa alla norma dell’equo canone, incompatibile con la natura afflittiva-ripristinatoria della sanzione.

Infine, per l’attualizzazione del costo di produzione alla “data di esecuzione dell’abuso” espressione che l’Adunanza Plenaria con la già citata sentenza n. 3/2024 ha interpretato doversi intendere “il momento di realizzazione delle opere abusive”, legittimamente l’amministrazione ha fatto riferimento la data di ultimazione dei lavori autodichiarata dagli interessati nella DIA in sanatoria (poi rigettata), in applicazione dei principi di correttezza, buona fede e auto responsabilità del dichiarante, osservando inoltre che ricorrenti (in corso di giudizio) non avevano fornito alcun elemento che potesse smentire quanto da loro stessi dichiarato.

La sentenza è consultabile in https://portali.giustizia-amministrativa.it

Note

[1] L’art. 33 “Interventi di ristrutturazione edilizia in assenza del permesso di costruire o in totale difformità” al comma 2, dispone “Qualora, sulla base di motivato accertamento dell'ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile, il dirigente o il responsabile dell'ufficio irroga una sanzione pecuniaria pari al doppio dell'aumento di valore dell'immobile, conseguente alla realizzazione delle opere, determinato, con riferimento alla data di ultimazione dei lavori, in base ai criteri previsti dalla legge 27 luglio 1978, n. 392, e con riferimento all'ultimo costo di produzione determinato con decreto ministeriale, aggiornato alla data di esecuzione dell'abuso, sulla base dell'indice ISTAT del costo di costruzione, con la esclusione, per i comuni non tenuti all'applicazione della legge medesima, del parametro relativo all'ubicazione e con l'equiparazione alla categoria A/1 delle categorie non comprese nell'articolo 16 della medesima legge……”.

[2] L’Adunanza Plenaria ha enunciato i seguenti principi di diritto:

a) con l’espressione “data di esecuzione dell’abuso” deve intendersi il momento di realizzazione delle opere abusive;

b) ai fini della determinazione della sanzione pecuniaria da determinare ex art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, deve procedersi alla determinazione della superficie convenzionale ai sensi dell’art. 13 della legge n. 392/1978 ed alla determinazione del costo unitario di produzione, sulla base del decreto aggiornato alla data di esecuzione dell’abuso. Il costo complessivo di produzione, dato dalla moltiplicazione della superficie convenzionale con il costo unitario di produzione, va attualizzato secondo l’indice ISTAT del costo di costruzione.