Danno da illegittimità dell’atto: la PA non risponde se l’errore deriva da norme incerte
Focus sulla sentenza del TAR Lombardia (Sez. II), 23 settembre 2025, n. 2975
14 OTTOBRE 2025
La sentenza n. 2975 emessa dal TAR Lombardia, Sez. II, in data 23 settembre 2025 ha chiarito che, in materia edilizia, il potere del Comune di annullare in autotutela un titolo abilitativo, come una SCIA o un permesso di costruire, è rigorosamente circoscritto al termine di 18 mesi previsto dalla legge n. 241/1990. Decorso tale periodo, l’intervento edilizio si consolida definitivamente e non può più essere rimosso, nemmeno su richiesta di cittadini confinanti, salvo che emergano falsità o dichiarazioni mendaci. La decisione ribadisce inoltre che la valutazione del corretto inserimento paesaggistico di un edificio, affidata alla Commissione per il Paesaggio, costituisce un apprezzamento tecnico non sindacabile dal giudice se coerente e motivato.
Contesto del caso
Il ricorrente, comproprietario di un appartamento in Milano, ha impugnato il provvedimento di diniego del Comune con cui era stata respinta la sua istanza di autotutela volta all’annullamento dei titoli edilizi (permesso di costruire e SCIA) rilasciati alla società controinteressata per un intervento di ristrutturazione con sopraelevazione di un edificio adiacente. Il ricorrente lamentava che la sopraelevazione incidesse negativamente su luminosità, aerazione e visuale del proprio immobile, nonché sull’assetto urbanistico della zona.
Questioni giuridiche principali
-
Termine per l’esercizio dell’autotutela edilizia (artt. 19, 21-nonies L. 241/1990)
La questione centrale riguarda la decorrenza del termine (12 o 18 mesi) entro il quale l’Amministrazione può annullare in autotutela una SCIA o un permesso di costruire, nonché la possibilità per il terzo di sollecitare tale potere oltre tale limite temporale;
-
Interpretazione delle norme urbanistiche comunali (artt. 86-87 Regolamento Edilizio Milano e art. 15 NTA PGT)
Il ricorrente contestava la legittimità della sopraelevazione, sostenendo che violava la disciplina dei “tessuti urbani compatti a cortina” e l’obbligo di costruire “in aderenza” ai fronti ciechi preesistenti, senza superarne la sagoma;
-
Domanda di risarcimento del danno per omesso esercizio dei poteri repressivi
Si è esaminata l’eventuale responsabilità del Comune per mancato intervento a tutela dell’interesse del privato.
Ratio decidendi (Analisi giuridica)
Il TAR ha ritenuto infondato il ricorso. Il Tribunale ha richiamato la Corte costituzionale, sent. n. 45/2019, ribadendo che decorso il termine di 18 mesi previsto dall’art. 19, co. 4, L. 241/1990, la situazione giuridica del segnalante si consolida e l’Amministrazione perde ogni potere di autotutela. Nel caso di specie, la SCIA che aveva autorizzato la sopraelevazione (luglio 2019) era ormai consolidata alla data dell’istanza (luglio 2021).
Quanto all’interpretazione delle norme edilizie (art. 87 R.E.C.), il TAR ha osservato che
la lettura del Comune, che consente costruzioni “anche di maggiore estensione” purché in aderenza e previo parere paesaggistico, è sostenibile e compatibile con l’impianto regolamentare.
Infine, il rigetto della domanda risarcitoria è stato motivato dal
difetto di colpa dell’Amministrazione e dalla mancata prova del danno.
Decisione finale e implicazioni giuridiche e pratiche
Il ricorso è stato respinto in quanto infondato. La sentenza consolida il principio secondo cui,
decorso il termine di 18 mesi dalla presentazione di una SCIA edilizia,
l’Amministrazione non può più intervenire in autotutela, salvo ipotesi di falsità o mendacio. Viene inoltre confermata la
discrezionalità tecnica della Commissione per il Paesaggio nel valutare il corretto inserimento edilizio, non sindacabile dal giudice salvo evidenti irragionevolezze.