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Ripensare le infrastrutture per superare i confini politici: le bioregioni dell’economista Rifkin

Jeremy Rifkin, economista e sociologo statunitense all’assemblea ANCI: una panoramica su Green Deal, ridefinizione delle responsabilità amministrative e il futuro del pianeta

17 NOVEMBRE 2025

Alla 42esima Assemblea ANCI è presente anche l’economista e sociologo, tra i più prestigiosi al mondo, Jeremy Rifkin, grande promotore del Green Deal europeo che definisce essere “un’intuizione geniale per l’Europa”. Rifkin passa in rassegna i più grandi paradossi della società contemporanea nell’approccio alla crisi climatica, primo tra tutti la convinzione erronea di trovarci in un pianeta di terra, quando il nostro è ormai comprovato essere un pianeta di acqua ed è l’acqua la chiave per aiutarci a tutelarlo. Servono una nuova chiave di lettura delle infrastrutture e un superamento netto dei confini politici in virtù di un’ottica bioregionale.

Abbandonare le vecchie istituzioni per aprirsi alla rivoluzione delle infrastrutture

Negli ultimi due secoli abbiamo lasciato enormi quantità di combustibili fossili nell’atmosfera, questi gas non permettono al calore del sole di uscire dal pianeta scatenando i gravi fenomeni climatici a cui siamo oramai abituati. Ormai, dice Rifkin affranto. E infatti non fa neanche più notizia, e noi, colpiti nel ventre dalle ultime alluvioni, lo sappiamo bene.
 
Come fare a risolverci?
Cambiando paradigma: non possiamo pensare di controllare l’idrosfera o sperare che lei si adatti a noi, siamo noi che dobbiamo adattarci. L’idrosfera, vera e unica protagonista, sta dirottando le nostre migrazioni e determinando i nostri nuovi ecosistemi.
Noi abbiamo la contorta aspettativa, diagnostica l’economista, di voler risolvere la crisi con gli stessi mezzi che l’hanno creata. Complici gli apparati che abbiamo costruito: le moderne istituzioni, la maniera in cui gli Stati nazionali operano fino a come educhiamo i nostri figli; ci hanno condotto qui, come possono ora le stesse istituzioni, avvalendosi degli stessi strumenti, tirarcene fuori?
 
La risoluzione sta nel modificarne l’assetto: ripensare l’educazione e ripensare la ricerca scientifica con tecnologie cosiddette «additive», ovvero basate sul sistema della stampa 3D che con pochissimo spreco e pochissimi scarti, producono nuove infrastrutture: da semplici prodotti e oggetti fino a intere case. Cita anche il designer e architetto Mario Cucinella che adottando questo progetto innovativo ha realizzato la prima casa stampata in 3D. Cucinella è riuscito a eludere uno dei grossi problemi generati dai data centers centralizzati: “Sapete quanta acqua serve per creare un bit?” incalza Rifkin “Servono 8 galloni di pura acqua per ogni microchip (più di 30 litri). C’erano 1.3 trilioni di microchip l’anno scorso. Non si può fare”. La soluzione sta arrivando, data centers distribuiti tra le Regioni da condividere. Cucinella, dicevamo, ha eluso questa complicanza: il suo sistema innovativo per costruire edifici a base di argilla utilizzando le nuove tecnologie può essere presentato a un mercato tra venditori e acquirenti del Comune, all’interno di una rete che collega fornitori e utenti e il software utilizzato dalla stampante 3D potrebbe essere condiviso facilmente sul telefonino, senza costi aggiuntivi, a un architetto fin nelle Filippine concedendo a questi di creare quanti più edifici voglia pagando una semplice licenza: “Questa è una rivoluzione delle infrastrutture completamente distribuita che sta emergendo a livello municipale e regionale e non può essere fermata: è più economica, locale, è bioregionale”.