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La configurazione di un fatto quale “grave illecito professionale” risulta tale solo in seguito alla discrezionale valutazione della Stazione Appaltante: la perdita del requisito di affidabilità e integrità sopravviene, dunque, in corso di gara

14 MARZO 2022

Il TAR Lazio, con la sentenza n. 1745 del 14 febbraio 2022, ha respinto, dichiarandolo in parte infondato e in parte inammissibile, il ricorso introdotto dal RTI secondo in graduatoria di un lotto relativo ad una procedura aperta, indetta ai sensi dell’art. 60 del d.lgs. n. 50/2016 e dell’art. 2, comma 2, della l. n. 120 del 2020. La procedura di gara era finalizzata all’affidamento di un Accordo quadro.

All’esito delle attività di verifica condotte dal seggio di gara, la stazione appaltante inoltrava al RTI, poi risultato aggiudicatario, formale richiesta di integrazione/regolarizzazione delle dichiarazioni e degli elementi contenuti nelle domande di partecipazione, ravvisando una possibile causa di esclusione ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c) del Codice degli appalti. La ragione era l’esistenza di una richiesta di rinvio a giudizio a carico dell’amministratore unico, socio di maggioranza e direttore tecnico della società mandante. Tale richiesta di rinvio a giudizio, nello specifico, era stata emessa nell’ambito di un procedimento penale, riguardante i reati di turbativa d’asta e abuso d’ufficio in concorso, consumati nel corso di una precedente procedura di gara.

La documentazione prodotta dal RTI in questione era ritenuta non adeguata dal seggio di gara. Con “preavviso di esclusione”, la Stazione Appaltate comunicava all’operatore economico di poter evitare la sanzione espulsiva solo ove si fosse proceduto, ai sensi dell’art. 48, commi 18 e 19-ter, del d.lgs. n. 50/16, all’estromissione dell’impresa mandante ovvero alla sostituzione della stessa con altra in possesso dei prescritti requisiti di legge per l’esecuzione dei lavori in appalto. La mandante veniva quindi estromessa, il RTI ammesso e nelle more risultava aggiudicatario.

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