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No danno da disservizio in caso di procedimento disciplinare pendente

Il licenziamento disciplinare intervenuto per il danno arrecato dal dipendente a seguito di condotte che sono state oggetto di un procedimento penale, non rappresenta un requisito per attivare, accanto al recupero erariale delle somme indebitamente percepite, anche la richiesta di risarcimento per disservizio patito  
 

17 OTTOBRE 2022

Il licenziamento disciplinare intervenuto per il danno arrecato al Comune da parte del dipendente a seguito di condotte che sono state oggetto di un procedimento penale, non rappresenta un requisito per attivare, accanto al recupero erariale delle somme indebitamente percepite, anche la richiesta di risarcimento per disservizio patito.

La ratio consiste nel fatto che i costi sostenuti dal Comune per l’espletamento del procedimento disciplinare nei confronti del dipendente che possono risultare anche d’importo elevato, rientrano tra quelli per retribuire mansioni ordinariamente assegnate a pubblici dipendenti per ispezioni, controlli, azioni disciplinari, ancorché le stesse si affianchino ad altre mansioni affidate a detti dipendenti. Così previsto dalla sentenza n. 229/2022 della Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Lombardia.

Il danno da disservizio

Il danno cosiddetto da disservizio, a detta del giudice contabile, appartiene alla categoria descrittiva e non certo ontologica di danno erariale, pertanto non può configurarsi in questo caso perché è fatto notorio che l’azione disciplinare è normalmente affidata, in qualsiasi ente pubblico, ad alcuni dipendenti preposti all’Upd o a capi-struttura, unitamente ad altre mansioni istituzionali ed è, dunque, un fisiologico compito d’ufficio e come tale ordinariamente retribuito. Le considerazioni della Corte, tuttavia, si spingono ancora più a fondo. Poiché le condotte foriere di danno si sono tradotte nell’accertamento di anomalie nella gestione cartacea e non telematica di una pratica edilizia, nel caso in esame la sentenza individua una ulteriore voce di danno, che si aggiunge a quello principale del mancato introito delle somme che il privato cittadino ha versato e che sono state impropriamente acquisite dal dipendente infedele. Tale voce di danno, che è stata qualificata impropriamente come disservizio dalla Procura erariale, a parere della Corte dei conti deve essere invece più correttamente ascritta alla “violazione del sinallagma contrattuale lavoro/retribuzione”.