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La conclusione della mobilità volontaria priva il dipendente trasferito degli avanzamenti di carriera ricevuti nel frattempo

La Cassazione attraverso l'ordinanza del 15 gennaio 2024, n. 1494/2024 ha rigettato la domanda di mansioni superiori avute dal dipendente al momento dell’effettivo trasferimento
 

26 GENNAIO 2024

Nel momento in cui si perfeziona la domanda di passaggio ad altra Amministrazione si cristallizzano a quel momento, sia l’inquadramento, sia le mansioni del dipendente trasferito, il quale deve pertanto prestare servizio per gli specifici compiti e con la retribuzione sussistenti al momento della domanda di passaggio e non al momento del trasferimento effettivo. Sono queste le conclusioni della Cassazione (ordinanza n. 1494/2024) che ha rigettato la domanda di mansioni superiori avute dal dipendente al momento dell’effettivo trasferimento.

Il fatto

Un dipendente aveva attivato ed ottenuto la mobilità presso altra amministrazione ma, a causa del ritardo nel trasferimento a causa di esposti, il suo trasferimento effettivo era avvenuto con circa un anno di ritardo. Nelle more di detto passaggio, il dipendente aveva acquisto un avanzamento di carriera per aver superato, in coerenza con le disposizioni contrattuali, il quinquennio di servizio, ossia era stato inquadrato con un livello dirigenziale superiore, diverso da quello in cui aveva presentato e accettato il trasferimento come mobilità. A fronte dell’inquadramento previsto nell’ente di destinazione, al momento in cui si era conclusa la procedura di mobilità ex art. 30 del d.lgs. 165/01, il dipendente ha presentato ricorso al giudice del lavoro per il riconoscimento della qualifica superiore ottenuta prima del passaggio effettivo presso l’ente di destinazione. La Corte di appello, in riforma della sentenza del Tribunale di primo grado, ha respinto la domanda della ricorrente volta a conseguire l’accertamento del diritto al riconoscimento della qualifica superiore. A dire dei giudici di appello, infatti, deve essere escluso il diritto del dipendente all’assegnazione all’incarico o mansioni superiori conferite nelle more dall’Ente di provenienza, in quanto gli interessi pubblici che giustificano il ricorso alla procedura concorsuale riservata verrebbero frustrati qualora si consentisse la nomina di soggetti ormai estranei all’amministrazione, per essere cessati dal servizio o perché transitati alle dipendenze di altri enti, ed ai quali verrebbe attribuita una agevolazione nella progressione in carriera, non più giustificata una volta venuto meno il rapporto con l’ente che aveva indetto il concorso interno. In altri termini, secondo la Corte di appello, a seguito dell’accoglimento della domanda di passaggio ad altra Amministrazione si cristallizzano sia l’inquadramento che le mansioni del dipendente trasferito, il quale deve pertanto prestare servizio per gli specifici compiti e con la retribuzione sussistenti al momento della domanda di passaggio.
Avverso la sentenza ha presentato ricorso in Cassazione la dipendente, lamentandosi dell’errore in cui sarebbe incorsa la Corte di appello per non aver considerato la qualifica professionale rivestita al momento del passaggio effettivo presso l’amministrazione di destinazione, trattandosi non di nuovo ingrasso ma di continuazione del rapporto di lavoro stante il principio della cessione del contratto disciplinato nella mobilità volontaria.

La conferma

Per i giudici della Suprema Corte il ricorso della dipendente è infondato. Infatti, secondo un principio consolidato della giurisprudenza di legittimità in tema di impiego pubblico privatizzato, in caso di passaggio ad altra amministrazione per la qualifica corrispondente a quella indicata dal lavoratore nella domanda, non sussiste il diritto per il dipendente di ottenere, in ordine al rapporto costituito su tale base, la qualifica superiore acquisita, nelle more del passaggio stesso, nell’amministrazione di provenienza, atteso che il trasferimento è chiesto ed avviene in ragione di una disponibilità creatasi nell’organico dell’Amministrazione di destinazione e nella qualifica prevista, e non è coerente con le esigenze di imparzialità e buon andamento che un ente terzo incida sul rapporto di lavoro di un’altra P.A. Nella fattispecie la questione decisa dal giudice di merito non verteva sull’assimilazione della mobilità alla cessione bensì sullo specifico profilo della individuazione del momento in cui in cui poteva ritenersi avvenuto il passaggio della ricorrente dalla precedente alla nuova Amministrazione e, quindi, dell’individuazione del momento in cui eventuali progressioni nell’ambito dell’Amministrazione di provenienza dovevano ritenersi sterilizzate dal già avvenuto passaggio alla nuova Amministrazione. D’altra parte, la mobilità è sempre finalizzata alla copertura di una specifica vacanza – quale era quella che la stessa domanda di mobilità della ricorrente mirava a coprire – e che pertanto il riconoscimento di incarichi o mansioni superiori conseguiti nelle more presso l’Amministrazione di provenienza non solo verrebbe a frustrare detta finalità – determinando il persistere della scopertura – ma produrrebbe l’effetto distonico di imporre alla nuova Amministrazione di appartenenza la presenza in sovrannumero di dipendenti con profilo diverso da quello per il quale vi era la scopertura stessa, oltre ad incidere sulla procedura concorsuale riservata, agevolando la progressione in carriera di uno dei concorrenti e generando asimmetrie tra le posizioni dei soggetti interessati a concorrere.