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Malattie e attività che ritardano la ripresa

E’ legittimo il licenziamento del lavoratore che, pur essendo in malattia, viene trovato ad aiutare per due giorni nel negozio della moglie, risultando decisiva la circostanza che l'impegno del lavoratore era astrattamente idoneo a ritardare la sua ripresa fisica e quindi a posticiparne il rientro in azienda.
 

9 FEBBRAIO 2024

di G. Crepaldi
 
Fatto
La Corte d'Appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Latina di rigetto dell'impugnativa del licenziamento intimato al lavoratore dalla società datrice di lavoro per motivi disciplinari, giustificato dall’aver prestato attività lavorativa per due giorni presso attività commerciale della coniuge durante periodo di assenza per malattia di una settimana. L’attività è stata accertata tramite agenzia investigativa.
 
La decisione
Il ricorso è infondato.
 
Motivazione
Correttamente la sentenza impugnata ha osservato che il comportamento del dipendente che presti attività lavorativa durante il periodo di assenza per malattia può costituire giustificato motivo di recesso ove integrante una violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, tanto nel caso in cui tale attività esterna sia di per sé sufficiente a far presumere l'inesistenza della malattia, quanto nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio ex ante (e non ex post come pretende parte ricorrente), in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio. Appunto sulla base della potenziale idoneità dell'attività lavorativa svolta a favore di terzi dal dipendente durante il periodo di malattia oggetto di contestazione, la Corte di merito ha fondato il proprio giudizio di sussunzione del comportamento concreto, quale risultante anche dagli accertamenti peritali svolti nel procedimento dinanzi al Tribunale, nella clausola generale di cui all'art. 2119 c.c.
 
Lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente, durante lo stato di malattia, configura la violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà nonché dei doveri generali di correttezza e buona fede, oltre che nell'ipotesi in cui tale attività esterna sia, di per sé, sufficiente a far presumere l'inesistenza della malattia, anche nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio ex ante in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio (Cass. n. 26496-2018, 10416-2017), è del tutto funzionale all'accertamento dell'effettiva violazione dei predetti obblighi l'approfondimento medico-legale finalizzato alla valutazione dell'attività svolta in favore di terzi in relazione alla patologia giustificante l'assenza dal lavoro presso il datore, per così dire, principale. Detto accertamento è risultato nel senso dell'incompatibilità in concreto dell'attività in favore di terzi svolta con i doveri del dipendente nei termini valutativi ex ante come esposti. La questione oggetto di accertamento medico risulta pertanto del tutto rientrante nell'ambito delle domande ed eccezioni svolte dalle parti e senza sconfinamenti esterni a petitum e causa petendi devoluti nel doppio grado di merito.